Al cinema sul divano. “Don’t look up”

Don’t Look Up” a me è piaciuto.
Sarà che ho un ottimo rapporto con Netflix.
Sarà che Leonardo Di Caprio in un ruolo tutto meno che fico fa simpatia.
Fatto sta che mi sono amaramente divertita.
Dico divertita perché mi sono sentita onestamente intrattenuta.
Dico amaramente perché l’incapacità di reagire, di giocarsi il tutto per tutto persino davanti a un evento catastrofico – incapacità che sta sostanzialmente alla base del film – è con tutta evidenza il paradigma tragicamente imperante nel mondo contemporaneo.

E allora dagli a chi si espone personalmente e mette cuore, tempo, energie, faccia – e spesse volte anche qualche fettina di culo – per tenere alta l’attenzione su calamità dietro l’angolo. Come Greta Thunberg.
E allora dagli allo scienziato cattivo che vuole imporci la “sua” interpretazione dei dati, per dominarci con la paura e limitare la nostra libertà di fare il cavolo che ci pare.

Guai – guai! – a guardare su, ad ascoltare gli esperti, a pensare al plurale invece che al singolare.

Guai a fare la scelta più faticosa, guai ad andare un po’ meno veloci, guai a risparmiare energia.
Guai a sperare che in futuro ci siano meno poveri invece di diventare più ricchi.
Guai a vaccinarci “solo perché ce lo dice qualcun altro”.

Meglio guardare in basso, continuare ad ammirare il proprio ombelico e raccontarsi di essere più furbi degli altri.
Meglio immaginarsi immortali che vittime: l’ego ne beneficia e così pure la qualità del sonno.

Perché alla fine della fiera, che sarà mai tutta ‘sta cagnara?
La fine del mondo?

Sì.

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