Il mio incontro con «Barbie THE ICON»
Il mio rapporto con “la” Barbie non è mai stato particolarmente intimo.
Ho avuto una mamma molto giovane e molto attenta al dibattito dei primi anni ’70 sul ruolo delle donne e sull’importanza della loro educazione per un’autentica emancipazione di genere.
«Dalla parte delle bambine» di Elena Gianini Belotti, per intenterci, uscito proprio l’anno della mia nascita, era un testo ben noto e interiorizzato dalle nostre parti…
Il fascino del (giocattolo) proibito
La Barbie non era contemplata frai i giocattoli della mia prima infanzia: mi furono regalati invece Big Jim e il suo compare nativo-americano, con tanto di cavallo nero da montare “a pelo” e canoa… e io li adoravo, per altro.
Ma la bionda bambolina per un po’ fu qualcosa di simile a un tabù, o per lo meno a un modello di donna verso il quale non andavo incoraggiata.Come accade quasi sempre con tutte le cose
vissute come “proibite” (la mia amichetta del cuore ne aveva tantissime, bellissime! Persino una casa alta come me con tanto di ascensore…), dentro di me desideravo ardentemente poterne avere una anche io.
Mia mamma lo sapeva, ma tenne duro a lungo…
Cedette – se si può dire così – quando, in seguito all’ennesima brutale tonsillite di cui soffrii da bambina, dovetti affrontare una dolorosa iniezione di penicillina. La Barbie fu il mio premio di consolazione.
Ma anche in questo “cedere” la mia modernissima mamma non si poteva piegare al messaggio conformista…
Feci la puntura ed ebbi la mia autentica “Barbie” Mattel, come promesso.
Solo che il suo nome “vero” non era Barbie, ma Cara, ed era questa qua:
Cara, la “Barbie” ballerina di colore
Mamma era davvero un mito!
Non so nemmeno come/dove fosse riuscita a scovarla nel varesotto degli anni ’70!
Comunque, io ne fui entusiasta e ci giocai parecchio. Per me aveva un unico difetto: quella cavolo di coroncina in testa che non si poteva staccare. Limitava i miei voli di fantasia.
Comunque, oltre a Cara, nella mia vita entrò in seguito solo un’unica altra Barbie – questa volta ‘na biondona tradizionale – che per disgrazia una sera d’estate dimenticai in giardino e ritrovai il giorno seguente gravemente menomata perché “assaggiata” dal mio cane. Poveretta.
Resta il fatto che, pur non avendola frequentata assiduamente, riconosco senza fatica alcuna a Barbara Millicent Roberts (questo il vero nome di Barbie all’anagrafe, registrato alla sua “nascita” nel 1959) lo standard di “icona”.
Lo è, senza dubbio, e a livello globale.
A 56 anni suonati di età, continua ad affascinare e a far parlare di sè appassionati collezionisti, bambine ed ex bambine, e persino mai sopiti detrattori.
Per questo, nei miei avanti-indietro casa-ufficio dell’ultimo mese, sostando in colonna dietro ai bus milanesi vestiti di rosa che pubblicizzavano la grande mostra Barbie THE ICON (allestita al Mudec di via Tortona a fine ottobre e apertaal pubblico fino al prossimo 13 marzo), mi era proprio venuta voglia di andare a curiosare.
In tre alla scoperta del mito
Oggi, a casa dal lavoro causa Immacolata Concezione, ho preso con me i miei due figli e ho puntato dritto al bellissimo spazio recuperato dell’ex fabbrica Ansaldo, per godermi questo viaggio nel tempo lungo quasi sei decenni in formato bambola.
Mi è piaciuto. Mi sono molto divertita. E si sono anche divertite le due bestiole al mio seguito, sia Lei – che, pur fanciulla, le Barbie non le ha mai calcolate – sia Lui che – recalcitrante, e non poco, quando gli avevo prospettato la visita – una volta sul posto si è lanciato in apprezzamenti e molto impegnato in servizi fotografici alle immobili micro modelle esposte nelle teche.
Questo è il nostro reportage.
… partiamo dai “fondamentali:
Fu Ruth Handler, moglie di uno dei due soci che nel 1945 avevano fondato la Mattel, ad avere l’idea di progettare una bambola dall’immagine adulta e contemporanea, ispirata alle attrici Hollywoodiane e all’estetica delle pin-up.
All’interno della mostra, trovano spazio anche agli accessori: camper, villa, catamarano, automobili, schermi touch interattivi per intrattenere i piccoli nativi digitali…
Mi ha colpito la dichiarazione di Ruth Handler, riportata su uno dei molti cartelli esplicativi che introducono le diverse sezioni della mostra:
Le carriere e i mestieri in cui Barbie si è cimentata dal 1959 a oggi sono almeno 150…
E senz’altro ha tentato di interpretare – con canoni fissi, certo, ma spirito di immedesimazione – la bellezza universale…
Io e i bambini abbiamo ammirato anche il modello creato appositamente per il Mudec.
Ma senza dubbio la sezione che più ci ha divertito ed entusiasmato è stata l’ultima, nella quale Barbie interpreta miti di Hollywood, personaggi storici, personaggi letterari e rock star… Una vera chicca:
Hits: 884