“Vincere” – Film – Telebolero 21/2009

DUE VITE CANCELLATE

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Il mistero della presunta bigamia di Benito Mussolini e la cronaca infausta di ciò che accadde alla compagna che l’aveva sostenuto negli anni precedenti alla Prima guerra mondiale e al figlio che gli aveva dato: sono questi gli appassionanti e tragici ingredienti di “Vincere”, la pellicola di Marco Bellocchio ispirata alla vera storia di Ida Dalser

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di Angelo Vigoni

Quella raccontata dal nuovo film di Marco Bellocchio, “Vincere”, unica pellicola italiana in concorso in questi giorni al Festival di Cannes, uscita il 20 maggio anche nelle sale, è una storia drammatica. E i fatti narrati assumono una connotazione ancor più tragica se si considera che questa, per quanto rielaborata in un contesto di fiction, è soprattutto una storia vera. La vicenda è quella di Ida Dalser e di suo figlio Benito Albino, rispettivamente la compagna di Mussolini – forse addirittura la sua legittima moglie, visto che secondo voci insistenti il Duce l’avrebbe sposata con rito religioso nel settembre del 1914, salvo ordinare in un secondo momento che i documenti relativi alle nozze venissero distrutti – e il suo primogenito, nato l’11 novembre del 1915, che dopo essere stato regolarmente riconosciuto dal padre venne letteralmente da questi “cancellato” tramite la falsificazione del suo certificato di nascita e l’imposizione di nuovi e diversi cognomi. Di questi due sfortunati personaggi molti italiani hanno fino a oggi ignorato anche solo l’esistenza, benché in Trentino, dove la Dalser era nata nel 1880, ancor oggi la memoria collettiva conservi un vivido ricordo di questo personaggio, la cui tristissima parabola è stata anche ben documentata in due libri: “Il figlio del Duce: la storia di Benito Albino Mussolini e di sua madre Ida Dalser”, di Alfredo Pieroni, e “La moglie di Mussolini”, di Marco Zeni. Anche il regista del film ha ammesso di aver ignorato per quasi tutta la vita la loro storia: la scoprì solo quattro anni fa, grazie a un documentario trasmesso da Rai Tre : “non ne avevo mai sentito parlare”, racconta infatti Bellocchio nelle sue note di regia. “L’ho scoperta grazie a un documentario di qualche anno fa: “Il Segreto di Mussolini” di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli. Questa Ida Dalser, che da Mussolini ebbe un figlio prima riconosciuto e poi rinnegato, mi sembrò una donna straordinaria. Una donna che gridò la sua verità fino alla fine, nonostante il regime cercasse di distruggerne ogni traccia. La moglie e il figlio segreto di Mussolini erano uno scandalo da nascondere. Al punto da cancellare le loro esistenze e non solo fisicamente: entrambi furono rinchiusi in manicomio, dove morirono”. A ben guardare, però, volendo fare un film su Mussolini, il regista avrebbe potuto puntare il microscopio anche su una miriade di altri personaggi: dopotutto, negli anni attorno alla figura del Duce, gravitarono molti uomini e donne; le amanti, poi, furono numerose… Allora perché raccontare proprio la storia di Ida Dalser? “Lei”, chiarisce Bellocchio, “si era buttata in quell’amore con un impeto e una generosità davvero eccessivi: per esempio, per aiutare Mussolini a fondare il Popolo d’Italia, il giornale che sarebbe diventato il nucleo del futuro Partito fascista, aveva venduto tutti i suoi beni: l’appartamento, i gioielli, persino il salone di bellezza che con straordinario spirito imprenditoriale, davvero raro per una donna dell’epoca, aveva aperto a Milano. Ma dopo aver sacrificato tutto per lui, Ida è stata abbandonata da Mussolini con un figlio e a quel punto ha rifiutato il compromesso, non ha accettato di essere declassata a una delle tante amanti del Duce, anche se sarebbe stata senz’altro sistemata in modo confortevole e, tacendo, probabilmente avrebbe potuto godere di una buona qualità di vita… No, lei ha sempre voluto rivendicare il suo status di moglie e di madre di Benito Albino, ha sempre gridato la sua verità: era lei la moglie legittima, era suo figlio il primogenito. Penso che Ida abbia continuato a lungo a credere che Benito, in fondo, l’amasse ancora. Quando venne rinchiusa in manicomio, però, divenne improvvisamente più ‘intelligente’ e mostrò di avere finalmente compreso chi fosse in realtà Mussolini. In alcune delle sue lettere sopravvissute alla censura, lei dimostra una preveggenza straordinaria rispetto alla fine che avrebbe fatto Mussolini e esprime anche un giudizio sull’uomo; in particolare, è molto significativa la chiusa di una di queste lettere: ‘va là Duce, che sei un pover’uomo!’, scrisse infatti la Dalser. Nel mio lavoro cerco sempre di basarmi sulle emozioni e mi è sembrato che questa storia, proprio per l’impatto emotivo che aveva avuto su di me, mi spingesse in qualche modo a realizzare un film. Non mi sono nemmeno mai chiesto come avrebbe potuto reagire il pubblico…”.

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